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Valle del Sacco, il processo sul disastro ambientale può ripartire

La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale

Il processo sul disastro ambientale della Valle del Sacco va avanti da anni al fine di accertare la verità giudiziaria su fatti assai gravi (l'avvelenamento delle acque del fiume Sacco a causa dello sversamento abusivo del pesticida lindano e del sottoprodotto  Betaesaclorociclosesano), fatti che hanno lasciato un profondo segno sia da un punto di vista sanitario che morale nella popolazione, in larga parte contaminata da tale sostanza, presente nel sangue di molti cittadini della Valle del Sacco nel sangue, a causa della contaminazione della catena alimentare. Solo qualche settimana fa andava in onda il servizio realizzato della Iena Nadia Toffa, prima che la stessa giornalista si sentisse male.

La lunga storia

Dal 2005, con alterne vicende, l'area della Valle del fiume Sacco è un Sito di Interesse Nazionale (SIN) da bonificare, in quanto anni di “sviluppo” industriale hanno lasciato una pesante eredità di devastazione ambientale e sanitaria, i cui costi sono scaricati sui cittadini da un punto di vista ambientale e sanitario. Il processo penale che dovrebbe dunque accertare i responsabili dell'inquinamento del fiume Sacco è pendente, tra alterne vicende, ormai da alcuni anni. Nell'iter giudiziario del processo è stata anche posta dal Giudice Mario Coderoni con ordinanza del 19.11.2015 la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157 sesto comma c.p. su sollecitazione della difesa degli imputati.

Le tesi delle parti civili

"Ebbene - spiegano in una nota i rappresenanti delle associazioni RETUVASA, Raggio Verde ed UGI - sostanzialmente avallando la tesi sostenuta da alcune delle parti civili del processo con una memoria depositata nel processo che si può definire profetica, la Corte Costituzionale ha, con sentenza  n. 265/2017 depositata il 13.12.2017, dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 157 sesto comma c.p. che si fondava sull'erronea valutazione dei giudici di merito per cui reati di diversa gravità sotto il profilo dell'elemento soggettivo dovrebbero avere termini prescrizionali diversi. Sotto questo profilo, la Corte Costituzionale ha fatto presente che numerosissimi delitti dolosi e colposi sono soggetti al medesimo termine prescrizionale e sotto questo profilo la scelta del legislatore  non è incostituzionale in quantoa differenziare la fattispecie dolosa da quella colposa, assicurando la proporzionalità del trattamento sanzionatorio al disvalore del fatto, provvede la pena”. Secondo la Corte Costituzionale, “al legislatore non è, in effetti, precluso di ritenere, nella sua discrezionalità, che in rapporto a determinati delitti colposi la ‘resistenza all'oblio’ nella coscienza sociale e la complessità dell'accertamento dei fatti siano omologabili a quelle della corrispondente ipotesi dolosa, giustificando, con ciò, la sottoposizione di entrambi ad un identico termine prescrizionale. E tale apprezzamento può legittimamente esprimersi anche attraverso l'introduzione di deroghe alla disciplina generale”.

La resistenza all'oblio

Il processo della Valle del Sacco, proprio per i suoi riflessi sociologici e sanitari, è proprio un caso di “resistenza all'oblio” nella coscienza sociale. A questo punto le parti civili si augurano di avere una anche minima consolazione in un vero e proprio fiume di veleno ed ingiustizia. 

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